Nella cessione di azienda l’accollo del debito sconta il registro (fonte Eutekne)
La sentenza n. 8219/2015 della C.T. Prov. di Milano fornisce l’occasione per fare il punto della situazione su tre importanti questioni attinenti la cessione d’azienda e la relativa tassazione ai fini dell’imposta di registro.
Il primo tema affrontato è quello della determinazione del valore di avviamento dell’azienda ceduta. Nel caso di specie, oggetto di trasferimento era una gioielleria, il cui valore di avviamento era stato dichiarato pari a zero, anzi, il contribuente adduceva nelle sue difese che vi sarebbe stato un badwill, attesa l’incapacità di produrre reddito dell’ultimo periodo e le consistenti passività di 1,3 milioni di euro.
Diversamente, per l’Ufficio, considerata la tipologia di attività e la sua collocazione nel quadrilatero della moda milanese, l’avviamento era ben consistente e veniva determinato mediante il cosiddetto “criterio dell’investimento sostitutivo delle attività cedute”. A tal fine, l’Ufficio provvedeva dapprima a calcolare il reddito prospettico, pari al 7,3% del totale delle attività cedute, e successivamente, considerando una durata temporale illimitata ed un tasso dell’11,49% quale tasso di attualizzazione, otteneva il valore dell’avviamento, pari a circa 800.000 euro.
Il collegio di prime cure, osservando che l’Ufficio aveva dettagliato in modo minuzioso ogni singola voce della formula matematica che aveva preso in considerazione per giungere alla determinazione del valore globale della voce avviamento, ne ha confermato la correttezza.
In effetti, secondo la Cassazione, in caso di cessione d’azienda, il valore di avviamento dichiarato in atto può essere rettificato dall’Ufficio ex art. 51 del DPR 131/1986 anche con l’applicazione di metodologie differenti da quella prevista per legge ai fini dell’accertamento con adesione (cfr. art. 2, comma 4 del DPR 460/1996), sempreché, ovviamente, il Fisco alleghi gli elementi indiziari che lo hanno indotto ad avvalersi di tale diverso metodo (Cass. n. 4931/2012). In sostanza, si tratta di una valutazione di merito demandata al prudente apprezzamento del giudice, sulla base degli elementi contingenti.
Si ricorda, tuttavia, che, con le recenti sentenze nn. 8187/1/15 e 8278/41/15, la stessa C.T. Prov. di Milano ha bocciato, per la determinazione del valore di avviamento, rispettivamente il metodo fondato sull’EBITDA medio di un piano di valutazione quinquennale aziendale ed il cosiddetto “metodo locativo”.
L’altra questione esaminata con la sentenza in commento attiene – invero l’ormai nota – questione della cosiddetta “cessione spezzatino”, che si realizza tipicamente quando la cessione d’azienda viene artatamente posta in essere mediante una pluralità di atti di cessione dei singoli beni materiali ed immateriali che compongono l’azienda stessa (con vari vantaggi fiscali derivanti all’assoggettamento ad IVA degli atti, piuttosto che all’imposta proporzionale di registro).
Nel caso di specie, i giudici milanesi hanno ritenuto che la cessione indipendente ed autonoma delle rimanenze del valore di circa 2 milioni di euro, rispetto alla cessione della gioielleria, aveva realizzato il cosiddetto “spezzatino” e, quindi, anche tale operazione doveva essere ricondotta alla cessione d’azienda in oggetto, con assoggettamento di tale valore all’imposta di registro proporzionale.
La decisione si innesta così in quel filone giurisprudenziale di legittimità, in base al quale, ancora recentemente, la Cassazione ha ritenuto legittima la riqualificazione, in atto di cessione di azienda, dei molteplici atti frazionati e formalmente indipendenti con cui una società aveva ceduto ad un’altra società i beni di magazzino, la proprietà del prodotto finito, le materie prime e gli stampi, il know-how e altri beni immateriali (Cass. nn. 1955/2015; cfr. anche, nello stesso senso, Cass. n. 13580/2007).
Anche l’ultima questione esaminata dal collegio lombardo è stata decisa a favore del Fisco, laddove è stato riconosciuto che l’accollo delle passività della gioielleria di circa 1,3 milioni di euro, da parte del cessionario, doveva essere assoggettato ad imposta proporzionale di registro.
Si evidenzia, al riguardo, che, per la Suprema Corte, ai fini della determinazione della base imponibile dell’imposta di registro, non rilevano le modalità di pagamento del prezzo, sicché le somme accollate al cedente non “diminuiscono” il valore della base imponibile dell’imposta di registro (cfr. Cass. 22223/2011, 8912/2014 e 24081/2015).
Nel caso di specie, il prezzo convenuto e dichiarato per la cessione della gioielleria era di circa 50.000 euro, ma il cessionario si era accollato anche le passività di circa 1,3 milioni di euro. Secondo il collegio di merito, l’accollo di debito è paragonabile ad una corresponsione del prezzo; quindi, accollarsi un debito equivale a tutti gli effetti sborsare l’importo accollato. L’importo dell’accollo del debito, pertanto, deve far parte dell’imponibile da assoggettare a tassazione con l’imposta proporzionale di registro (sul tema, si veda anche “Base imponibile del registro sulla cessione d’azienda al lordo degli accolli” del 26 novembre 2015).