IL PROCEDIMENTO DI FUSIONE TRA FONDAZIONI
(Trib. Roma 25 gennaio 2016)
La sentenza del 25 gennaio 2016 (rinvenibile sul sito giurisprudenzadelleimprese.it) del Tribunale di Roma, in funzione monocratica, affronta gli aspetti procedimentali della fusione per incorporazione involgente enti non profit, in particolare due fondazioni.
Il Tribunale afferma come, sebbene nulla sia previsto nella scarna disciplina codicistica degli enti non societari in tema di modificazioni soggettive degli enti stessi, le disposizioni introdotte con la riforma del diritto societario in tema di trasformazione omogenea o eterogenea possano trovare applicazione, nei limiti della compatibilità, anche con riferimento agli enti del libro primo del codice civile.
«Dunque si può affermare che, nei limiti della compatibilità e tenendo sempre a mente le differenze strutturali e di scopo fra le società e gli enti ‘non societari’ ed in particolare le fondazioni, va ammessa l’applicazione analogica della disciplina in tema di fusione di società all’ipotesi di fusione di fondazioni.
E’ del resto intuitivo che quanto più grandi siano gli enti interessati alla fusione, tanto maggiore deve essere la conformazione all’iter previsto dalla novella per le società p.es. in tema di predisposizione del progetto, di redazione della relazione e dello stato patrimoniale, di stipulazione di atto pubblico, ecc., il tutto peraltro sempre sotto il controllo dell’Autorità amministrativa e previo parere dell’agenzia delle Onlus (nel caso di enti di tal natura), anche al fine di rispettare la volontà dei fondatori in ordine alla corretta devoluzione del patrimonio».
La disciplina applicabile in caso di fusione fra enti del libro I e, in particolare, fra fondazioni
La dottrina ha approfondito, specialmente dopo la riforma del diritto societario, le operazioni straordinarie (trasformazione e fusione) riguardanti gli enti del libro I del codice civile, ed al tema è stato anche dedicato un apposito convegno di studi (le cui relazioni sono raccolte nel volume a cura di ZOPPINI – MALTONI, La nuova disciplina delle associazioni e fondazioni, Padova 2007).
Invero, già prima della riforma, deciso era il favore mostrato verso le fusioni omogenee, in particolare tra associazioni (GALGANO, Delle persone giuridiche, in Comm. Scialoja-Branca, Bologna – Roma, 1969, 352 ss., secondo il quale le deliberazioni di fusione “non dovranno essere riguardate come deliberazioni di scioglimento e, quindi, di autorizzazione alla fusione: esse sono comuni deliberazioni modificative dei rispettivi statuti e, quindi, soggette alla comune disciplina, in fatto di maggioranze e di autorizzazioni alle modifiche statutarie”).
E così anche in giurisprudenza non si dubitava circa l’ammissibilità di fusioni tra fondazioni (Cons. Stato, 24 gennaio 1956, in Cons.Stato, 1956, I, 1104, peraltro facendo capo all’applicazione analogica dell’art. 58 legge 17 luglio 1890, n. 6972 che prevedeva la fusione tra istituzioni pubbliche di assistenza e di beneficenza), e tra associazioni, nei cui confronti si riteneva applicabile l’art. 2504 per configurare l’estinzione degli enti originari e la successione a titolo universale di quello nato dall’unificazione senza, tuttavia, che se ne potessero trarre indicazioni in ordine al procedimento (Cass. 14 marzo 1967, n. 583, in Giur. it., 1968, I, 511, la quale fece applicazione del solo art. 2504 relativo agli effetti, lasciando invece impregiudicata quella delle norme relative al procedimento; Trib. Napoli, 31 dicembre 1962, pubblicata in Giur. it., 1964, I, 2, 699, con nota di GHEZZI, nonché in Riv. dir. comm., 1964, II, 494, con nota di ROSSI; Cass. 24 novembre 1999, n. 13033, in Vita Not., 2000, 987).
L’introduzione della disciplina della trasformazione eterogenea e, in particolare, la codificazione del principio per cui questa, nel caso di passaggio da associazione a società, possa esser decisa dall’assemblea maggioritaria, ha aperto il campo ad una ricostruzione che vede estensibile la regola contenuta nell’art. 2500-octies, comma 2, ad ogni altra ipotesi di trasformazione o fusione da assumersi da parte di un’associazione (FUSARO, Trasformazioni e fusioni tra enti non profit, in La nuova disciplina delle associazioni e fondazioni, cit., 137. Sul tema si segnala il recente Orientamento L.E.12 (Fusione di associazione in fondazione) del COMITATO TRIVENETO, per cui «si ritiene legittima la fusione di un’associazione riconosciuta in una fondazione e viceversa, stante il principio dell’economia dei mezzi giuridici in quanto la medesima operazione potrebbe diversamente essere attuata attraverso la previa trasformazione della associazione in fondazione (vedi orientamento K.A.40) e la successiva fusione della trasformata fondazione con altra fondazione. In assenza di una disciplina specifica, a tale fattispecie si applicano in via analogica le disposizioni legislative che disciplinano le fusioni eterogenee. In ogni caso l’operazione è sottoposta al vaglio dell’autorità amministrativa competente».).
Appare chiaro, tuttavia, come tale estensione non stia a significare l’automatica applicabilità di tutti i segmenti del procedimento di fusione di cui alla sezione II del capo X del libro V c.c. alla fattispecie di fusione omogenea fra enti non lucrativi civilmente riconosciuti.
Tanto che, proprio per i profili che qui interessano, ad un primo esame della fattispecie in generale, la dottrina ne ha desunto l’applicabilità della scansione delibera/atto, ma non anche del regime di pubblicità, escludendo espressamente la necessità di surrogare gli adempimenti presso il registro delle imprese con analoghi adempimenti presso il registro delle persone giuridiche, nemmeno nell’ipotesi in cui gli enti del libro primo, laddove esercenti attività imprenditoriali, dovessero essere iscritti anche nel registro delle imprese (DE GIORGI, Le vicende modificative ed estintive, in Le persone giuridiche a cura di Basile, Milano, 2003, 445; FUSARO, Trasformazioni e fusioni tra enti non profit, cit., 144).
Appaiono, invece, facilmente riconducibili all’ipotesi di fusione fra enti le conclusioni cui è recentemente pervenuta la Suprema Corte in ordine alla natura della fusione, come fenomeno modificativo e non estintivo/costitutivo dell’ente (Cass. S.U., ordinanza 8 febbraio 2006, n. 2637).
Pertanto, considerato che alla fusione tra fondazioni sembra possibile estendere il principio secondo il quale la fusione ha natura di fenomeno modificativo e non estintivo/costitutivo dell’ente, trova applicazione nel caso di specie l’art. 2 del D.P.R. 361 del 2000.
La predetta norma stabilisce che “le modificazioni dello statuto e dell’atto costitutivo sono approvate con le modalità e nei termini previsti per l’acquisto della personalità giuridica dall’articolo 1, salvo i casi di riconoscimento della personalità giuridica per atto legislativo. Alla domanda sono allegati i documenti idonei a dimostrare la sussistenza dei requisiti previsti dall’articolo 21, secondo comma, del codice civile. Per le fondazioni, alla domanda è allegata la documentazione necessaria a comprovare il rispetto delle disposizioni statutarie inerenti al procedimento di modifica dello statuto” (in generale, sulla possibilità di modificare lo statuto di una fondazione v. RUOTOLO, Il nuovo regime per il riconoscimento delle persone giuridiche private, in Studi e Materiali, Milano, 2002, 88).
In virtù del combinato disposto degli artt. 1 e 2 d.p.r. 361/2000, per modificare lo statuto di una fondazione (e ciò dovrebbe valere anche per gli enti ecclesiastici a struttura fondazionale) occorrono, quindi, i seguenti requisiti:
– presentazione alla prefettura nella cui provincia è stabilita la sede dell’ente di domanda sottoscritta da coloro ai quali è conferita la rappresentanza dell’ente;
– allegazione di copia autentica dell’atto costitutivo e dello statuto modificati;
– allegazione della documentazione necessaria a comprovare il rispetto delle disposizioni statutarie inerenti al procedimento di modifica dello statuto;
– approvazione della modifica mediante iscrizione della stessa nel registro delle persone giuridiche da parte del prefetto, previa verifica della mancanza di ragioni ostative all’iscrizione o della necessità di integrare la documentazione presentata.
Trattandosi, quindi, di fusione tra enti del libro I del codice civile, la fattispecie in esame non è soggetta all’applicazione diretta delle norme in materia di procedimento di fusione di cui agli artt. 2501 e ss. c.c., fatta salva l’eventuale applicazione analogica delle regole che appaiono “neutrali” rispetto allo scopo di lucro, e che sono funzionali a disciplinare la dimensione organizzativa dei soggetti diversi dalle persone fisiche (in generale sul tema v. PONZANELLI, Le “non profit organizations”, Milano, 1985; PREITE, La destinazione dei risultati nei contratti associativi, Milano, 1988; 1995; FUSARO, L’associazione non riconosciuta. Modelli normativi ed esperienze atipiche, Padova, 1991; ZOPPINI, Le fondazioni. Dalla tipicità alle tipologie, Napoli, 1995).
In particolare non è né necessario redigere un progetto di fusione pedissequamente conforme a quanto stabilito dall’art. 2501-ter c.c., (ad esempio appare incompatibile la disciplina contenuta nei nn. da 3 a 8 concernenti le posizioni dei soci delle società coinvolte nella fusione), né il rispetto del termine di sessanta giorni a garanzia dei creditori di cui all’art. 2503 c.c., posto che non v’è pubblicità dell’approvazione e del “progetto di fusione”, momenti dai quali viene appunto fatto decorrere il termine per l’opposizione.
Si ritiene, inoltre, non occorrano né la relazione al progetto di fusione di cui all’art. 2501-quinquies c.c., né la relazione degli esperti exart. 2501-sexies c.c., né il deposito dei bilanci degli ultimi tre esercizi ex art. 2501-septies c.c..
Occorre, però, segnalare l’opportunità di redigere una situazione patrimoniale – prevista in materia di fusione dall’art. 2501-quater c.c. – redatta secondo i criteri del bilancio (situazione patrimoniale, conto economico e nota integrativa), tenuto conto che l’autorità governativa, in sede di controllo ai fini dell’iscrizione della fusione nel registro delle persone giuridiche, dovrà valutare l’adeguatezza del patrimonio ai fini della realizzazione dello scopo.
Sono stati, invece, espressi dubbi in merito alla necessità di redigere, in seguito all’approvazione delle delibere di fusione, un appositoatto di fusione. In materia societaria, l’atto di fusione costituisce l’esecuzione delle delibere di fusione approvate dagli enti partecipanti, edha la funzione di attestare l’avvenuta approvazione del progetto di fusione da parte di ciascuna società e la persistenza della volontà di ciascun ente di realizzare tale progetto. L’iscrizione dell’atto di fusione nel registro delle imprese determina, inoltre, l’impossibilità di pronunciare l’invalidità di tale atto ai sensi dell’art. 2504-quater c.c.
In caso di fusione tra fondazioni, invece, poiché l’art. 2, d.p.r. 361/2000 richiede l’allegazione della documentazione necessaria a comprovare il rispetto delle disposizioni statutarie inerenti al procedimento di modifica dello statuto, si è sostenuto che sarebbe, forse, sufficiente la delibera dell’organo competente a modificare lo statuto.
Si è, tuttavia, segnalato come la stipula di un atto di fusione potrebbe essere quanto meno opportuna ai fini di compendiare in un unico documento le modificazioni dello statuto dell’ente incorporante derivanti dalla fusione e di dare certezza in merito alla conformità delle delibere adottate da ciascun ente ed alla mancanza di un’eventuale revoca di tali delibere (v. Quesito n. 138-2006/I, Fusione per incorporazione di enti ecclesiastici, est. RUOTOLO E BOGGIALI, in CNN Notizie del 20 dicembre 2006).
In virtù di tali considerazioni, poiché nella fusione tra fondazioni non trovano applicazione le regole dettate in ambito pubblicitario per la fusione in cui siano coinvolti enti soggetti all’iscrizione nel registro delle imprese, l’operazione dovrà ritenersi efficace quando, in conformità a quanto prescritto dal combinato disposto degli artt. 1 e 2 d.p.r. 361/2000, la modifica statutaria è stata iscritta nel registro delle persone giuridiche da parte del prefetto, il quale ne ha vagliato la legittimità, in funzione latu sensu omologatoria.
Le regole procedimentali applicabili secondo la sentenza del Tribunale di Roma
Premesso, quindi che il procedimento di fusione delle fondazioni deve modellarsi nei limiti della compatibilità sulla disciplina di cui agli artt. 2501 e ss. c.c., nel dettaglio, secondo il Tribunale, va riconosciuto all’organo amministrativo degli enti interessati il potere di redigere il progetto di fusione, cui va allegata una relazione in ordine alle ragioni dell’operazione, alle eventuali modifiche statutarie, alla situazione patrimoniale, ecc.; analogamente si deve provvedere al deposito degli atti presso la sede degli enti interessati all’operazione (art. 2501 septies, c.c.).
Invero, tale ultima affermazione non appare pienamente condivisibile: la funzione della predisposizione e del conseguente deposito di tali documenti presso la sede della società è quella della preventiva informazione ai soci circa aspetti rilevanti dell’operazione su cui andranno a deliberare. Peraltro, mentre nella relazione dell’organo amministrativo il contenuto non è limitato al rapporto di cambio, involgendo anche le ragioni economico-giuridiche dell’operazione, in quella degli esperti l’oggetto è proprio l’adeguatezza del metodo seguito per la determinazione del rapporto di cambio che qui, trattandosi di fusione tra fondazioni, non viene in alcun modo in rilievo. Nella sentenza si afferma infatti che «Non sono invece applicabili, neanche in via analogica, le norme in tema di “rapporto di cambio”, di cui agli artt. 2501 ter, 1° comma, n° 3, e 2501-quinquies, 2° comma, c.c., in quanto non vi sono quote di partecipazioni al capitale sociale da dover rispettare in relazione all’ente risultante dalla fusione».
Ma, a ben vedere, anche per la relazione degli amministratori, stante la peculiarità degli enti che si fondono (generalmente privi di assemblea: diversamente è da opinarsi nel caso di fusione fra enti del libro I muniti di organo assembleare), non si vede in che modo tale documento possa rilevare nella fase “decisionale”, trattandosi, in sostanza, di informativa che gli amministratori rivolgerebbero a se stessi, al pari della restante documentazione il cui deposito presso la sede è obbligatorio ai sensi dell’art. 2501-septies, c.c.; tale documentazione potrebbe, piuttosto, rilevare nella fase successiva di iscrizione nel Registro delle Persone Giuridiche, a corredo della relativa istanza.
Inoltre, a differenza di quanto previsto per le società, per le quali l’approvazione del progetto è attribuita all’assemblea dei soci (art. 2502 c.c.), per le fondazioni, di regola prive di un organo assembleare e deliberativo, il potere di approvazione deve essere necessariamente riconosciuto ai c.d.a. dei vari enti interessati; quindi sicuramente non è applicabile la previsione di cui all’art. 2502 c.c. in tema di deliberazione assembleare di approvazione della fusione e la manifestazione della volontà di procedere alla fusione deve necessariamente provenire dai rispettivi c.d.a. Analogamente, la mancanza di delibera assembleare sembra dover comportare l’inapplicabilità anche della previsione di cui all’art. 2502 bis c.c., in tema di pubblicazione della deliberazione di fusione nel Registro delle Imprese, e dell’art. 2503 c.c., in tema di opposizione dei creditori.
Trova invece applicazione la disposizione che prevede la fusione con atto notarile (art. 2504, 1° comma, c.c.: “La fusione deve risultare da atto pubblico”), il cui contenuto deve corrispondere al contenuto del progetto di fusione; alla stipulazione partecipano i legali rappresentanti degli enti interessati, i quali agiscono in esecuzione del mandato ricevuto in sede di approvazione del progetto di fusione.
Dopo la stipula dell’atto di fusione si procede alle formalità connesse all’iscrizione dell’atto nel Registro delle persone giuridiche.
È inapplicabile alla fusione delle fondazioni, stante la differente funzione del Registro delle persone giuridiche e del Registro delle Imprese, la disciplina dettata dall’art. 2504-quater c.c. e, quindi, l’effetto preclusivo della pubblicità dell’atto di fusione in ordine all’impugnazione. L’art. 2504-quater, 1° comma, c.c. ha, infatti, un senso se viene visto all’interno di un sistema di pubblicità e di limiti all’impugnazione previste, in ambito societario, dai su richiamati artt. 2502-bis c.c. (iscrizione delle delibere adottate in ordine alla fusione dalle società coinvolte) e 2503 c.c. (previsione di un termine per l’opposizione dei creditori alla fusione); pertanto, ritenute non applicabili dette disposizioni alla fusione delle fondazioni, è evidente che viene meno anche l’effetto preclusivo di cui al citato art. 2504-quater, 1° comma, c.c., norma eccezionale, anche tenuto conto della richiamata diversa funzione dei due Registri e della natura di pubblicità costitutiva che ha l’iscrizione nel Registro delle Imprese.
In conclusione, il provvedimento di approvazione dell’autorità amministrativa, con connessa iscrizione nel Registro delle Persone Giuridiche, non è ostativo all’eventuale impugnazione dell’atto di fusione, mentre nel caso delle società l’avvenuta iscrizione nel Registro delle Imprese determina l’effetto sanante relativamente non solo ai vizi propri dell’atto, ma anche a quelli della procedura di fusione.
Sottolinea ancora il Tribunale come, con riferimento all’ambito dell’impugnazione, in base a dottrina e giurisprudenza elaborate in ambito societario, l’invalidità dell’atto di fusione possa derivare o da vizi propri dell’atto finale o da vizi della procedura, dovendosi poi verificare se i vari atti della sequenza procedimentale abbiano o meno rilevanza esterna e cioè se siano meri atti interni alla procedura ovvero siano dotati di autonoma rilevanza e quindi autonomamente impugnabili.